Il viaggio interiore
“Il Pensatoio” così chiamavo l’autostrada SATAP Torino – Piacenza. Un tratto, o per meglio dire un lotto, lo conoscevo fin nelle sue viscere profonde essendo stato assunto come direzione lavori per la supervisione e controllo in cantiere durante la realizzazione della tratta Quarto d’Asti – Crocetta, dove ora c’è un’area di servizio.
Ora ritorno al libro “Caso e la necessità” di J. Monod. In seguito e sempre per motivi di lavoro ed occupazioni varie, ho dovuto ripercorrere – negli anni – migliaia di volte e in tutte le condizioni atmosferiche, di giorno e di notte, con la nebbia fitta o con il sole bollente in entrambe le direzioni quel tratto incriminato.
Posso dire di aver vissuto una parte consistente delle mie ore di veglia sul quel nastro asfaltato e, per fortuna o caso, sono ancora vivo. Posso considerarlo come un viaggio a puntate di dimensioni spazio/temporali consistenti nella mia esistenza di errante “colui che gira sempre e … sbaglia sempre” come firmo qualche volta. Ma forse e più ancora una metafora della vita stessa.
Più che ripescare uno dei molteplici episodi accaduti nel lungo periodo sul percorso, preferisco inoltrarmi, anzi sprofondare nella mia attuale prospettiva preferita: quella esistenziale filosofica. La reiterazione del percorso unita alla tendenza a svaporare mentalmente durante la relativa noiosità della ripetizione dei paesaggi e degli attori, ritengo che si siano influenzati a vicenda.
E poi non avendo, per scelta, la radio a bordo e neppure il telefonino – arrivato molto più tardi – era giocoforza inventarsi qualche cosa per utilizzare quel tempo libero da interferenze esterne. Sistemato e/o liberatomi mentalmente delle questioni legate al lavoro svolto o da svolgere e dopo averle rinchiuse virtualmente nel bagagliaio, non rimaneva che lasciar andare i pensieri in tutte le direzioni per vedere fin dove potevano o volevano arrivare, senza preclusioni, convenzioni, dogmi o vincoli morali a racchiuderli e limitarli.
Esaurite per esaurimento ripetitivo anche le fantasie erotiche – sempre le stesse anche se cambiavano i soggetti – subentravano quelle di libertà finanziaria. Per qualche decina di chilometri l’affanno sempre presente e a volte asfissiante delle incombenti scadenze gestionali o famigliari angustiavano e occupavano il cervello. Vista la noiosa ripetitività pure di queste, venivano semplicemente procrastinate essendo senza soluzione al momento presente.
Finalmente, nei lunghi tratti di pianura dove si poteva innestare il pilota automatico, con lo sguardo più allo specchietto retrovisore che alla strada antistante si poteva andare, con la mente e la fantasia, dove si voleva: in fuga dalla realtà opprimente! Ho fatto delle lunghe chiacchierate con i militi e gli ufficiali delle legioni romane che mi raccontavano delle loro lunghe marce per risalire da Roma e raggiungere Genova, la Gallia o Augusta Taurinorum* e realizzare i progetti imperiali, mentre noi in poche ore e comodamente percorrevamo quanto per loro erano mesi di marce e fatiche. Noi potevamo essere visti da loro come e meglio degli Dei ecc. ecc.
Dopo diverse vanterie mie, inevitabilmente, si arrivava alla domanda cruciale, apparentemente ingenua: “come impiegavamo noi tutto quel tempo risparmiato”. Loro, dicevano, il Tempo lo dedicavano all’ OZIO, ossia a fare con altrettanto impegno quello che dava loro la principale soddisfazione e piacere all’esistenza, sottraendolo al Tempo che dovevano occupare per il NEGOZIO, ossia la negazione dell’OZIO.
Di fronte ad argomenti così semplicemente lineari entravo in crisi da solo e, per parare l’incongruenza del nostro modo di vivere, mi rifugiavo nel sociale facendo presente, al milite romano, che loro avevano gli schiavi e quindi potevano permetterselo. Qualche volta, mi ricordo che mi ha parlato dell’ episodio del “sindacalista” Spartaco e del Senatore confindustriale Menennio Agrippa passato alla storia con il suo apologo consultivo – consociativo.
Quando poi lo facevo mentalmente scendere, tra me e me, dovevo riconoscere che noi, in fondo o in principio, il tempo risparmiato con i nostri potenti mezzi lo impieghiamo a fare … gli schiavi! E il tempo per l’OZIO? Dopo … dopo quando andiamo in pensione! (Meno male che c’è Formeduca).
Altra considerazione estemporanea era legata alle corsie dell’autostrada. Una per il traffico pesante, una per la marcia normale e una per il sorpasso. Tutte e tre chilometricamente lunghe ugualmente, ma non mentalmente. Quella lenta per il traffico operoso cosiddetto pesante; quello di marcia normale o di trasferimento per il viaggio; quello veloce per chi ha fretta di arrivare … prima qualche volta.
Tre realtà differenti per un unico percorso. Metafore della vita, volendo forzare il paragone. La via delle opere, quella lenta; la via della vitalità responsabile, la seconda; la via veloce della conoscenza e intuizione, fulminante, la terza. Ma qui mi fermo all’ area di servizio. Come diceva un mio amico istriano: “Meglio arrivare alla destinazione sani, mezz’ora dopo che … quaranta anni prima”.
Michele … in assetto da viaggio
* Città della Tecnologia Avanzata (quella che si butta?)