La nostra socia Graziella ha inviato questo bel racconto in clima natalizio, che volentieri pubblichiamo.
UN NATALE COME UN ALTRO
Guardò fuori della finestra il cielo plumbeo non prometteva sole.
Non provenivano rumori dalla strada: era un giorno di festa e decise di prendersela con calma.
I compagni che dividevano l’alloggio con lui stavano ancora dormendo.
Accese la stufa, si preparò un tè alla menta il cui aroma gli ricordò il suo paese.
Anche là sarebbe stata una fredda mattina d’inverno ma col passare delle ore la temperatura sarebbe risalita velocemente e un tepore lieve sarebbe entrato nelle misere stanze spezzando il freddo della notte.
Pensò al riscuotersi mattiniero del villaggio, le donne che uscivano per andare al mercato, con i bambini appresso, gli uomini che percorrevano a piedi o in bicicletta la strada polverosa che conduceva al lavoro, i pochi mezzi pubblici stracarichi di persone, galline che attraversavano indenni becchettando nella terra: animali erranti.
Giovani donne trasportavano sul capo coperto secchi e vasi di coccio ricolmi d’acqua trascinando bambini piccoli per mano.
Il ricordo indugiò sugli odori, la luce, i colori del suo villaggio, le case color ocra fatte dell’impasto della terra, i piccoli orti strappati alla terra arida e ingenerosa, il verdeggiare delle palme, il sapore dei datteri maturi. Il vento che si abbatteva ferocemente nella stretta valle, freddo d’inverno e caldissimo in estate.
Ricordò di colpo anche la miseria che lo aveva spinto a lasciare la sua terra.
Guardò la mensola e dalla foto tre bambini gli sorrisero con fiducia. Una forte nostalgia si impossessò di lui.
Pensò a sua madre che aveva affidato alle cure della moglie: il volto pieno di rughe, le mani sciupate, la bocca sdentata.
Aveva raggiunto qualche anno prima l’Italia spinto dal sogno di un guadagno più facile.
Nei primi anni aveva trovato lavoro come muratore: un lavoro duro ma sufficientemente pagato.
Ogni mese poteva mandare una somma di denaro a casa e tre anni prima era anche riuscito a tornare: ore e ore di pullman fino al mare e poi di lì traghetto e poi ancora svariate ore di pullman. Aveva impiegato più di due giorni per tornare a casa, la schiena spezzata, il bagaglio pieno di piccole cose poco preziose che avrebbero suscitato curiosità in chi non le aveva mai viste.
E si era dilungato ad assaporare il calore della famiglia, scrutando coi suoi intelligenti occhi neri il volto di tutti, senza lasciar trapelare i suoi sentimenti: la nostalgia che lo struggeva nella solitudine di una metropoli straniera.
Poi anche in Italia la situazione era peggiorata: la crisi aveva raggiunto ogni settore e la disoccupazione era dilagata.
Perso definitivamente il lavoro si era adattato a fare di tutto pur di guadagnare qualcosa da mandare alla famiglia. Mai una volta pensò di tornare a casa. Con che cosa avrebbe sfamato tutte quelle bocche?
Si riscosse dal corso dei pensieri era ora di andare.
Bevve un’ultima tazza di tè, si infilò un secondo maglione, chiuse bene la giacca a vento, si calò il berretto di lana sulle orecchie.
Slegò la bicicletta dal palo, controllò che la cassetta di plastica fosse ben ferma sul portapacchi, saltò sulla sella e parti alla volta del centro dove, per fortuna, non era ancora stata introdotta la raccolta differenziata.
Forse oggi sarebbe stato un giorno redditizio.
Sperò in cuor suo che ci fossero ancora persone sufficientemente agiate da buttare via oggetti vecchi sostituiti da quelli nuovi appena ricevuti in dono.
In fondo era Natale e un’occasione così si presentava una sola volta all’anno!
graziella natale 2013