Trafalgar Square, London
Ore 17, il lungo pomeriggio di domenica 20 luglio 1969 è iniziato.
Nino e Guido, 18 anni a testa, hanno terminato di lavare i piatti, tanti tanti piatti, nel ristorante in cui lavorano per pagarsi il soggiorno londinese.
Sono nel centro di Londra, Whitehall, l’aria calda del pomeriggio è percorsa da un vociare che aumenta di tono man mano che ci si avvicina a Trafalgar Square.
Lì c’è l’appuntamento cittadino con la storia, lo sbarco dell’uomo sulla Luna.
Tanti giovani rumorosi e allegri, ogni occasione è utile per fare comunanza, tante persone curiose e inorgoglite dall’essere presenti al momento del secolo: “sbarchiamo sulla Luna” all’unisono viene annunciato e gridato dagli altoparlanti sulla piazza.
Il momento storico lentamente si avvicina, il Countdown incalza, arriva intorno alle 20, gli altoparlanti fissano il tocco al suolo del modulo Eagle di Apollo 11: un boato sale dalla piazza e noi ne facciamo parte, un abbraccio collettivo infinito, giovani e meno giovani, l’aplomb anglosassone viene meno permettendo di guadarci in faccia e vedere le espressioni dei visi.
Tanta gioia, ma anche un po’ di perplessità con qualche domanda che si insinua fra le sinapsi giovanili di quel tempo irripetibile.
Sono soltanto domande ingenue di ragazzi in adolescenza che si chiedono se di fronte al dramma della fame nel mondo, c’era bisogno di spendere tanto denaro e tante energie umane per questa corsa ad atterrare sulla luna e non per portare l’acqua nel deserto!
Ma per una sera Nino e Guido vogliono far parte della storia, si mescolano alla moltitudine di ragazzi che gridano gioia ed entusiasmo, ne fanno parte in una girandola di emozioni urlanti.
Si guardano in faccia, per una sera non pensano al ‘68, al movimento, a We shall overcome, per una sera sono giovani che sballano esaltati, pieni di fervore e di … birra in una folla di abbracci, di vicinanza, di promiscuità sconosciuta, di comunanza contagiosa.
Per ore, un tempo senza tempo li percorre, fino a quando gli altoparlanti annunciano l’apertura del modulo con Amstrong che si affaccia dallo sportello e comincia a scendere lentamente la scaletta. All’annuncio del tocco del piede sul suolo lunare esplode un nuovo boato di urla, di esaltazione collettiva: chi si butta nella fontana, chi urla e poi ancora urla, chi rimane sdraiato per terra e rischia di farsi calpestare da altri giovani e meno giovani, chi entra nella fontana e lancia acqua a chi passa vicino, chi, chitarra alla mano, suona e non “si sente”, chi fuma e poi ancora fuma, chi beve e poi beve ancora, chi passa bottiglie di birra al vicino, chi…..
Un grande caos di gioia e di folclore poco english, ma molto mediterraneo.
A notte inoltrata la piazza si svuota lentamente; il traffico intorno ad essa, per lo più di taxi neri che riportano a casa le persone alticce, è pericoloso da affrontare.
Camminando lentamente e sbandando fra il marciapiedi e la strada, Guido e Nino devono rientrare nel dormitorio che quella sera straordinariamente chiude alle tre, e ….. ci arrivano, come non si sa e loro non se lo ricordano, né se lo ricorderanno in futuro.
Il dormitorio olezza ancor più degli altri giorni: è il pavimento di una palestra in cui ordinatamente sono posati per terra affiancati i sacchi a pelo personali con, per cuscino, i vari zaini con la bretella inserita nel braccio a scanso di equivoci notturni.
Sono circa 150 giovani maschi di tante nazionalità, che per un “posto letto”, una prima colazione inglese e la possibilità di avere un gabinetto, pagavano mezza sterlina, il che ne faceva un luogo popolare.
Della sbronza collettiva il sapore del mattino non aveva più l’allegro sentore, aveva lasciato spazio ad un profondo intontimento ed a qualche ripensamento. Se del primo era naturale che venisse a salutare il giorno insieme ad una forte emicrania, il secondo giunse alquanto inaspettato.
Ora che lo sbarco sulla Luna era avvenuto e la retorica del momento plaudente aveva terminato il suo eco, si apriva lo spazio alle riflessioni che ognuno poteva fare.